Siamo ormai giunti all’equinozio d’autunno, quel momento dell’anno in cui il sole è esattamente allo zenit dell’equatore e la durata del giorno e della notte è uguale in tutto il pianeta: 12 ore di luce e 12 di buio. Quest’anno l’equinozio cadrà il 23 settembre; da quel giorno in poi si avranno quindi giornate sempre più lunghe nell’emisfero australe (sud) e sempre più corte in quello boreale (il nostro), fino al solstizio d’inverno in cui tale tendenza si invertirà.
Introduciamo così il discorso su una delle più suggestive stagioni dell’anno per quanto riguarda le escursioni in natura, che ci regala temperature miti, boschi dalle mille sfumature e i suoi apprezzatissimi e golosi frutti (a chi sa dove, quando e come prenderli): castagne e funghi. Trekking Romagna sta predisponendo il programma delle attività autunnali che prevedono, oltre alle classiche uscite in zone sempre suggestive e di grande fascino, anche la raccolta di questi “frutti” del bosco all’interno di diversi itinerari.
Ma cerchiamo di dare un quadro più ampio, su questi due prodotti del bosco, che vada un po’ al di là della solita immagine succulenta che tutti abbiamo in mente, legata ai piaceri della tavola.
LE CASTAGNE
La castagna è il “frutto” edule dell’albero Castanea Sativa. Tale albero era già presente nel bacino del Mediterraneo milioni di anni fa, come testimoniano i numerosi ritrovamenti fossili. Durante le successive glaciazioni il suo areale ha subìto una decisa riduzione, attestandosi principalmente nella regione del Caucaso alla fine delle stesse. La grande frequenza con la quale ci capita di incontrare uno di questi alberi nei nostri boschi italiani è dovuta all’opera dei romani che lo impiantarono sia negli Appennini che in zone subalpine per sfruttare tutto ciò che questa strepitosa pianta aveva loro da offrire: i frutti, il legno, le foglie. Per essere precisi ciò che si mangia non è il frutto della pianta, ma il seme. Il frutto infatti è rappresentato dall’involucro spinoso che scartiamo, a volte con fatica, e che una volta seccato, tempo fa veniva utilizzato per accendere il fuoco del camino con facilità. Fino a pochi decenni fa le castagne rappresentavano una delle principali “ricchezze” delle genti di montagna. Si mangiavano bollite o arrostite, si conservavano seccandole e quindi si produceva la farina con la quale poi si cucinavano dolci o si preparava una sorta di polenta. Ancora in alcuni boschi dell’Emilia-Romagna è possibile incontrare delle strutture dette grà, ormai in stato di completo abbandono, in cui si seccavano per poterle conservare anche interi mesi. Erano cascine costruite in pietra, alte circa quattro metri e divise in due piani da una “grata” in legno di castagno o nocciolo, sopra la quale venivano adagiate le castagne e sotto la quale veniva invece acceso un fuoco che doveva essere moderato ma costantemente acceso per due o tre settimane. Da testimonianze scritte pare che fossero le donne ad occuparsi di muovere di tanto in tanto le castagne e di tenere acceso tale fuoco, alternandosi in turni durante la notte.
Come detto in precedenza, del castagno era, e in parte lo è tuttora, prezioso anche il legname, utilizzato in svariati ambiti ed apprezzato per la sua durezza, la sua capacità di respingere gli attacchi dei tarli (grazie all’alta presenza di tannino) e la sua alta sopportazione degli agenti climatici esterni. Per questi motivi il suo legno veniva spesso usato non solo per la realizzazione di mobili per la casa, ma anche per costruzioni esterne, in particolare pali spesso impiegati in viticoltura. Inoltre poteva essere utilizzato, se in esubero, per il riscaldamento della casa.
Come oggi si dice del maiale, un tempo anche del castagno non si buttava via nulla. Pure le foglie, una volta seccate, avevano la loro utilità: si accendeva il fuoco con facilità o si adagiavano a mucchi nella stalla per fare un giaciglio più comodo per le bestie.
Purtroppo l’ultimo decennio non è stato un bel periodo per i nostri castagni. Dal 2002 infatti sono stati pesantemente attaccati, e in buona parte decimati, da un insetto fitofago originario della Cina, il Dryocosmus kuriphilus meglio noto come cinipide galligeno. Tale insetto, localizzato in Italia per la prima volta in provincia di Cuneo e poi diffusosi in quasi tutta la penisola, depone le sue uova all’interno di strutture che la pianta stessa crea per difendersi dall’attacco del parassita, dette galle (da cui il nome galligeno). Tali formazioni, perlopiù localizzate sulle gemme e sulle foglie, diminuiscono notevolmente la fruttificazione e, in caso di attacco consistente, indeboliscono la pianta fino a portarla talvolta alla morte. Nell’ultimo decennio dunque la selvicoltura del castagno ha passato brutti momenti fino a far paventare la decimazione pressoché completa di tutti i castagni italiani. Per fortuna non sarà questa la sorte che toccherà a questi magnifici e generosi alberi. Si è difatti trovato il modo di combattere tale piaga. La soluzione, così come il problema, arriva dalla Cina e si chiama Torymus sinensis, insetto predatore naturale del cinipide. La lotta biologica, che viene portata avanti da pochi anni in Italia, richiederà ancora del tempo per poter arrivare ad una soluzione definitiva ma già sta dando ottimi risultati.
Allo stato attuale possiamo quindi star certi di tornare a casa con un buon raccolto e con ottime aspettative sugli anni a venire (facendo gli opportuni scongiuri). Purtroppo però le variabili in gioco sono diverse e anche le condizioni climatiche determinano in larga misura la produzione annuale. L’autunno scorso ad esempio non ha dato grosse soddisfazioni in termini di raccolta a causa dell’estate poco assolata e molto umida. Quest’anno invece le previsioni sono assai più rosee e ci si aspetta sia un numero più elevato di “frutti” che dimensioni maggiori degli stessi.
Quindi? Che aspettiamo? Zaino in spalla, cestino, guanti e si parte per la raccolta… e per il trekking!!
I FUNGHI
Per quanto riguarda i funghi invece il discorso sarebbe molto più ampio e complesso giacché essi stessi rappresentano un regno a sé stante, collocato tra quello animale e quello vegetale, di cui fanno parte più di 100000 specie. Come gli animali infatti essi sono eterotrofi, ovvero non sono in grado di procurarsi molecole organiche da soli, ma devono prenderle già formate dall’esterno; come le piante sono invece immobili (a parte rari casi). Da notare inoltre che quello che normalmente identifichiamo come “fungo” non è in realtà che la struttura riproduttiva del vero e proprio organismo, che si sviluppa tutto sotto terra e altro non è che un insieme di piccoli filamenti bianchi attorcigliati chiamati ife che insieme formano il micelio (il fungo vero e proprio detto anche micete). Il “fungo” quindi che noi mangiamo, chiamato più precisamente sporoforo (dal latino “portatore di spore”) non è che una sorta di “frutto” che ospita le cellule riproduttive. Come già precedentemente accennato, a differenza delle piante, che tramite la fotosintesi si producono autonomamente le sostanze organiche, essi sono invece costretti a prenderle da fonti esterne. Possiamo dunque dividere i miceti in tre grandi categorie a seconda della natura di questa fonte esterna di approvvigionamento: funghi parassiti (si nutrono di organismi vivi quali animali, piante o altri funghi), funghi saprofiti (si nutrono di organismi morti) e funghi simbionti (traggono il loro sostentamento da associazioni con alberi, chiamate relazioni simbiotiche, che sono di reciproco vantaggio per entrambi gli organismi).
Fortunatamente a noi raccoglitori, delle 100000 specie esistenti di cui molte microscopiche, interessano poco più di una decina, che bisognerà imparare a riconoscere senza dubbi. Durante un’escursione, diverse infatti sono le tipologie che potremo incontrare: quelle altamente tossiche, quelle lievemente tossiche, quelle semplicemente non commestibili ma innocue e quelle invece che si spera di portare a casa per mangiarle a crudo su un letto di rucola e grana o in un bel risotto o altro ancora. Sapere riconoscere quindi quali funghi è bene lasciare al loro posto e quali invece si possono prendere, come e in quali quantità si possono raccogliere in base alle normative vigenti, i luoghi e il periodo in cui è più probabile trovarli, è fondamentale per non tornare a casa a mani vuote. Trekking Romagna non solo vi porterà a scoprire luoghi incantevoli, ma vi insegnerà tutto questo. Non che una passeggiata nel bosco non sia di per sé soddisfacente e completa, ma portare a casa anche qualche ricordo del posto e gustarselo a tavola, di certo aumenterà ancor di più l’indice di gradimento dell’esperienza.
E la luna? Veramente influenza la crescita dei funghi? Tantissimo si è dibattuto su tale tema. La scienza sembra dare una risposta negativa in tal senso ma c’è chi si oppone dicendo che una sentenza univoca è difficile darla perché tante sono le variabili in gioco. Per cui il raccoglitore di paese di una certa età continuerà a crederci e nessuno lo convincerà del contrario, mentre quello dalla mentalità più “moderna” tenderà a classificare questa credenza come leggenda popolare. Lasciamo dunque questo interrogativo aperto in quanto non sta certo a noi dare una risposta.
State quindi in occhio perché USCIRÀ A GIORNI IL PROGRAMMA DELLE ATTIVITÀ AUTUNNALI, ricche di interessanti itinerari alle volte arricchiti dalla raccolte di castagne o funghi.
Purtroppo per questi ultimi è difficile fare previsioni a lungo termine sulla loro presenza, perché molto dipende dalle condizioni climatiche dei giorni precedenti che non possono chiaramente essere conosciute con largo anticipo. Gli itinerari quindi, in cui nel programma sarà prevista la raccolta dei funghi, potranno essere trasformati in percorsi solo trekking o in altro ancora.
STAY TUNED e…
Buon autunno e buona raccolta da Trekking Romagna!